Recensione libro Il principe (De principatibus) di Niccolò Machiavelli

Editore: Vari editori
Anno di Pubblicazione: 1532 (prima edizione)
Pagine: 251

Il principe, il cui titolo originale era De principatibus, è forse l’opera più nota di Niccolò Machiavelli. Si sa che l’opera è stata scritta nel 1513 , nel suo periodo di esilio nell’Albergaccio a San Casciano, grazie ad una lettera del 10 dicembre del 1513 inviata all’amico Francesco Vettori, al quale dice di aver finito la stesura di un opuscolo in onore di Lorenzo De Medici. Nel periodo che va dal 1513 al 1518 circa tra l’altro ha scritto molte opere oltre a questa, tra cui la commedia La Mandragola e I discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Nonostante all’inizio l’opera fosse stata dedicata a Lorenzo De Medici, figlio di Piero De Medici, pur di aggraziarselo in seguito al ritorno dei Medici a Firenze, in seguito alla morte di quest’ultimo la dedicò a Giulio De Medici, il quale lo riammetterà anche in politica.
Il principe appartiene non solo al genere didascalico, ma anche e soprattutto a quello della trattatistica (da qui i titoli dei capitoli in latino).

In particolare Machiavelli si è ispirato agli specula principis, dei trattati che offrivano al principe un modello in cui rispecchiarsi e che, soprattutto, elencavano le qualità e le virtù positive che egli doveva avere. Machiavelli, però si distanzia da questo genere dicendo, dal capitolo 15 al 23, che il principe, per essere degno di tale nome, deve anche essere in grado di tenere dei comportamenti non proprio positivi se si presenta un’occasione in cui usarli, cosa che secondo lui capita spesso perché ritiene che gli uomini siano “cattivi” per la maggior parte. Il principe, dunque, deve sia essere onesto che disonesto, essere sincero e saper dissimulare, essere capace anche di uccidere se necessario, essere sia furbo che forte e, soprattutto, deve sempre ottenere il consenso dei cittadini e dei baroni in quanto, senza il loro appoggio, difficilmente riuscirà a mantenere lo stato.

Nella prima parte (capitoli I-IX) , inoltre, mentre parla anche dei vari tipi di principati, distingue il tiranno dal principe e, soprattutto, coloro che hanno ottenuto e mantenuto il principato tramite la loro virtù e quelli che lo hanno fatto con la virtù e la fortuna degli altri . Per il secondo caso l’autore, nonostante lo stimi e rispetti, pone Cesare Borgia detto il Valentino come esempio, in quanto quest’ultimo, cullatosi dell’aver ottenuto i propri possedimenti grazie al padre e della sua presenza, ha deciso di tirare fuori la sua virtù troppo tardi (con la conquista dei territori di Urbino e la reazione alla congiura trattata nell’opera Descrizione del modo tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il Signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini, sempre dello stesso autore).
In molti hanno ritenuto Machiavelli una persona unicamente cinica, spietata e pessimista (da qui l’aggettivo machiavellico), quando invece non è così. Lui infatti sa che , nonostante come dice ne I discorsi sopra la prima deca di Tito Livio sia un sostenitore della repubblica, c’è bisogno di una figura forte in grado di risollevare la situazione italiana, per cui in realtà la sua visione non è solo realista, ma anche ottimista, in quanto spera in un futuro migliore. Inoltre, Machiavelli, non è cinico e spietato ma oggettivo e abile nell’analisi delle situazioni, motivo per cui si distingue perché, a differenza degli altri, sa essere realista e capisce che il principe deve adattarsi ed essere versatile per contrastare la fortuna.

Machiavelli usa questo termine per indicare la sorte, vista nel periodo medievale come Provvidenza divina incontrastabile, in quanto il destino era, secondo la gente, già segnato e deciso da Dio e l’uomo non poteva fare nulla. Secondo la visione antropocentrica umanistico-rinascimentale, invece, l’uomo può modificare il suo destino e quindi essere artefice di quest’ultimo. Machiavelli, infatti, paragona la fortuna nel capitolo XXV sia ad un fiume in piena che , con accezione misogina, a una donna.

L’autore pensa che, come si può impedire un allagamento dovuto allo straripare del fiume in piena costruendo degli argini, si può pure contrastare la fortuna prevedendola e, soprattutto, sapendo sfruttare l’occasione modificando se necessario il proprio comportamento abituale. Un altro tema trattato da Machiavelli è quello delle milizie (capitoli XII-XIV), di cui parlerà anche nella sua opera L’arte della guerra. L’autore critica fortemente queste ultime perché, essendo composte da mercenari, sono molto volubili e poco leali e motivate. La sua proposta è quella di creare un esercito di soli cittadini affinché questi ultimi, motivati, possano difendere la patria.

La lingua utilizzata è il dialetto fiorentino parlato dalla gente colta e, tra l’altro, è stata una delle proposte per l’unità linguistica letteraria “italiana” assieme a quella del Bembo (quella alla fine adottata) e quella di Castiglione e Trissino. Al giorno d’oggi magari non è comprensibile nell’immediato, anche per l’utilizzo di latinismi, termini latini originali e della sintassi latina. Lo stile, per quanto elevato , non è lo stesso di quello degli specula principis, che puntava più alla retorica: Machiavelli voleva infatti che il testo fosse di comprensione pressoché immediata.


Il principe quindi è un’opera non solo di grandissima importanza, ma anche estremamente affascinante e utile, motivo per cui la si dovrebbe leggere almeno una volta nella vita. Do quindi 5 stelle su 5.

CONTENUTO:5
PIACEVOLEZZA:5
SCORREVOLEZZA:4/4.5
ORIGINALITA’: 5
STILE:5
VOTO MEDIO: 5

-Jade

Lascia un commento