Recensione film The Zero Theorem di Terry Gilliam

In seguito a opere poco ispirate e riuscite come Parnassus e I fratelli Grimm e l’incantevole strega, Terry Gilliam ritorna sul grande schermo con un’opera che riprende due dei grandi motivi della sua intera opera: il nonsense e la satira-critica alla società.

Qohen è un hacker eccentrico dotato di una fede incrollabile verso una fantomatica chiamata che gli svolterebbe la vita rendendolo felice e conferendogli la risposta a tutte le domande che ha. Proprio per via di quest’ossessione durante una festa chiede al Management, direttore della società per cui lavora, di poter lavorare da casa e, sempre durante quest’occasione, incontra l’affascinante Bainsley.
Il Management gli concede di poter lavorare da casa a patto che lui risolva lo Zero Theorem, una formula matematica che, come si scopre in seguito, dovrebbe testimoniare l’assenza di uno scopo e di un senso nella vita. Un po’ come il protagonista in Brazil Qohen ha degli strani sogni, perlopiù incubi che hanno a che fare con dei buchi neri, simboli del vuoto esistenziale che si presenta in lui e in tutti gli esseri umani. Questo vuoto è apparentemente incolmabile così come lo Zero Theorem è irrisolvibile, ma Qohen dimostra che in fondo nulla è impossibile.

Terry Gilliam ripercorre i suoi passi presentando un film molto simile ad una delle sue grandi opere: Brazil. Stavolta il protagonista è un uomo a dir poco strambo che non solo è dotato di una fede incrollabile verso una telefonata miracolosa, ma è spesso una parodia di se stesso e degli hacker informatici. Ma in fondo non è il solo ad essere “matto” visto che anche gli altri personaggi, come accade in altri film del regista, sono estrosi, diversi, al limite tra eccentricità e pazzia. L’assurdo prova a scontrarsi con filosofia e, solo apparente, scienza, con un teorema che in realtà è più esistenziale che matematico. Il Management, che a tratti ricorda un po’ un Grande Fratello alla Gilliam, è un essere umano che vuole provare che in fondo, pur non essendoci effettivamente alcun senso nella vita, ciò può essere contrastato da qualcosa dall’interno di ogni uomo come, nel caso di Qohen, la sua grande fede per la telefonata.

Pur non essendo male il messaggio dietro al film la sua realizzazione è contorta per via di una sceneggiatura fin troppo dilatata e a tratti troppo assurda, naturalmente non in senso positivo. La realtà distopica è solo un messaggio collaterale dietro a un problema esistenziale ben più grande che va oltre l’essenza della società corrotta e del capitalismo più sfrenato, uno “sfondo” a quello che è il vero protagonista del film: il teorema. L’arrivare ad esso è il vero problema perchè inizialmente si crede che, un po’ in parte come in Brazil, sia proprio la distopia, l’ispirazione orwelliana il tema principale. Solo con l’avanzare del tempo si capisce che il messaggio che il regista vuole mandare è in realtà un altro, pur spiegandolo in maniera più che superficiale e contorta, forse per l’abuso dell’assurdo delle ultime scene.

Christoph Waltz, Mélanie Thierry e David Thewlis sono forse il vero fiore all’occhiello del film, anche se altri attori come Tilda Swinton e Lucas Hedges non sono stati affatto male. Matt Damon è invece più un “nome” che un vero personaggio in quanto il suo ruolo, per quanto importante, è molto marginale e non gli permette di esprimersi a sufficienza.

The Zero Theorem è un passo avanti rispetto alle sue opere citate sopra ma, allo stesso tempo, è molti passi indietro ai suoi grandi capolavori. Gilliam punta a Brazil ma continua a perdersi nell’eccesso di irrazionalità e assurdo, creando scene ridondanti e abbondando nell’onirismo a sfavore della logica.

CONTENUTO:2
PIACEVOLEZZA:2
SCORREVOLEZZA:2
RECITAZIONE:3
ORIGINALITA’:2.5
VOTO MEDIO:2.3
-Jade

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